È proprio vero – come annota Gaetano Giuseppe Magro, scrittore sciclitano e docente di Anatomia Patologica – che “la poesia è il miglior strumento diagnostico a disposizione dell’uomo per tentare la biopsia di Dio e di tutte le cose misteriose”. È, forse, cercare l’ineffabile pensiero che vibra nel verso. La poesia è anche parola che si anima e si effonde come “luce che nel sogno somigli / ad arcobaleno notturno”. Ciò è quanto traspare nella recente silloge poetica che Raffaele Puccio propone ai lettori con il volumetto “Arcobaleni” (Libreria Editrice Urso, Avola 2013, pp. 56).
Giarratanese doc, uomo dal carattere mite e di poche parole, ambientalista accanito, Puccio, già docente di materie letterarie, è buon conoscitore della lingua latina (sue le “Liriche d’amore della latinità”, una ponderosa antologia di brani di poeti latini con traduzione italiana in versi). Ama trascorrere le giornate in bici tra la marina ed il suo fazzoletto di terra lontano dal caos tumultuoso della giungla urbana. In prosa ha esordito con “La capra d’oro e altri racconti” (2010), affettuoso omaggio al paese natio e alla tradizione culturale iblea. Recentemente ha pubblicato, in collaborazione, il volume “Colapesce” ampia rivisitazione della nota leggenda.
I versi di Puccio
colorano le pagine di sentimenti
Nelle sue poesie denuda la sua anima in versi semplici ma molto profondi da cui emergono i valori più veri che segnano un legame forte con le sue radici. La poetica di Puccio traccia il sentiero della vita, percorrendo le strade del vissuto con un’intensità di animo che investe il lettore nella più acuta e, nel contempo, semplice forma di sentimento. Un quotidiano che l’autore sgrana come chicchi di grano nella più significativa visione di un presente colto nella sua temporale fragranza contraddistinto da “mattini di luce” e “freschi sorrisi innocenti” tra “le liete speranze che il tempo / si ostina a danzarci davanti”. Una veridicità di sentimenti immersi in un caleidoscopico mondo di colori che appaiono, si intrecciano, brillano, sfumano e scompaiono in un “correre dietro a chimere / che portano lunghi capelli / ed occhi colore del cielo”.
La parola “mare” è molto presente nei suoi versi che planano in attesa dell’alba che “sul mare ha disteso / un manto di perla” mentre “lontano si spande / un incendio di luce” e “la luna ondeggia tra le stelle d’oro” mandando “filamenti di seta / bianchi sul mar di pece”. L’acqua del mare rappresenta non solo l’ancestrale ricordo del liquido amniotico ma anche un vero e proprio specchio in cui l’io lirico vede il proprio riflesso. L’elemento liquido può costituire anche, più indirettamente, lo “specchio” della sua anima, delle sue emozioni. In molti versi di Saba e di Montale, e, in alcuni casi, anche in alcune liriche di Corazzini, acqua e anima risultano frequentemente associate, sia che si tratti di vere e proprie immagini di rispecchiamento, sia che le figure legate all’elemento vengano invece adoperate in senso metaforico. È quest’ultimo il caso di Puccio: cuore e mare appaiono, difatti, stretti nella stessa immagine poetica nel Passaggio in cui “il sole lentamente / spegne la grande sete / nel mare d’amaranto” mentre “nell’intimo segreto / una musica appena / fa trasalire il cuore”. È il vivere quotidiano. E’ la corsa della vita il cui “unico sentiero”, percorso da “sorriso stanco” e da una “tristezza antica” come “malia dolce e pungente”, è talora assediato dal vento di bufera “che ogni sera / mestamente soccombe / al vento dei ricordi”.
Nei versi di Raffaele Puccio riaffiora, talora, un’esigenza interiore destinata a divenire forma e pensiero in quella inesorabile fuga del tempo in cui la giostra della vita gira e “ognuno sta assorto aspettando che arrivi il suo turno”.
Giuseppe Nativo
Sabato 28 settembre 2013 Ragusa pagina 43
RAFFAELE PUCCIO
Arcobaleni
Poesie
2013, 8°, pp. 56
Collana ARABA FENICE n. 111
€ 9,50
ISBN 978-88-98381-29-6
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